domenica 12 gennaio 2020

Il dibattito sul futuro dell’Europa: quali politiche e quale governance per l’Unione dopo le elezioni europee del 2019 e dopo Brexit


Con un’ampia partecipazione popolare, che per la prima volta ha superato il 50 per cento degli elettori, a maggio 2019 abbiamo votato per la nona volta per l’elezione del Parlamento europeo, luogo della rappresentanza politica (art. 14 TUE) di oltre cinquecento milioni di cittadini degli Stati membri dell’Unione europea e quindi cittadini europei, ai sensi dell’art. 9 TUE. Sono stati eletti 751 deputati, provenienti da 28 Stati membri diversi, che, nei giorni successivi, si sono distribuiti in gruppi parlamentari secondo linee di omogeneità politica, così come richiesto dall’art. 32, comma 1, del regolamento del Parlamento (il gruppo del Partito popolare europeo è il più numeroso, con 182 deputati, seguito dal gruppo dell’alleanza progressista dei socialisti e democratici, con 154, dal gruppo di Renew Europe, con 108, dal gruppo dei Verdi-Alleanza libera europea, con 74, dal gruppo Identità e democrazia, con   73, dal gruppo dei Conservatori e Riformisti europei, con 62, dal gruppo confederale della sinistra unitaria europea/sinistra verde nordica, con 41; 57 deputati, tra cui gli eletti del Movimento Cinque Stelle, non sono riusciti a costituire un gruppo e sono nel gruppo misto). Come è evidente, quello politico, lungo il tradizionale asse destra-sinistra, pur rimanendo il clivage principale - come è dimostrato dal fatto che i parlamentari europei votano fondamentalmente secondo le indicazioni dei gruppi e non per linee nazionali - non è l’unico presente nell’organo rappresentativo. E, infatti, pur se gli Stati membri hanno come sede privilegiata di rappresentanza dei loro differenziati interessi il Consiglio, che sempre più va assumendo la funzione di una Camera dei territori, secondo il modello classico delle esperienze federali, è evidente che i parlamentari terranno presente - anche solo per salvaguardare la propria posizione davanti all’elettorato - gli interessi del territorio di provenienza. È, questa, una regola imprescindibile in ogni sistema elettorale, esasperata con i sistemi maggioritari uninominali (a turno unico o a doppio turno, plurality o majority che siano), in cui l’eletto guarderà con attenzione le posizioni e gli interessi della propria constituency; ma significativamente presente in tutti i sistemi proporzionali, in cui la distribuzione dei seggi avvenga sulla base di unità territoriali minori di quella generale; ammorbidita, ma non esclusa, nei sistemi elettorali in cui la distribuzione dei seggi avviene sulla base di un unico collegio nazionale (in questo caso, infatti, la capacità di rappresentazione di interessi di categoria ha lo stesso rango e la stessa capacità di influenza di quella relativa ad interessi territoriali). A queste due tradizionali linee di separazione presenti nel Parlamento europeo, così come in qualsiasi altro luogo di rappresentanza politica, sempre tenendo presente la capacità di influenza delle organizzazioni rappresentative di interessi economici e professionali, si affiancherà in questa legislatura un’altra potente linea di divisione, quella che correrà lungo l’asse del favor  verso una maggiore o minore integrazione delle politiche europee. La raffigurazione giornalistica parlerà di “sovranisti” e “globalisti”, ma questa chiave di lettura, da sola, non ci aiuta a cogliere la realtà. Nessuno sarà mai, e tanto meno nel Parlamento europeo, totalmente globalista; nessuno totalmente sovranista. La globalizzazione, bella o buona, brutta o cattiva, è un fatto, non è più né un desiderio di persone senza radici, né una scelta di gnomi della finanza: basta entrare in un aeroporto (duecento milioni di voli ogni anno) o contare gli account Facebook a livello mondiale (oltre due miliardi) per rendersi conto che indietro non si torna più. E in questo mondo inevitabilmente globalizzato discipline autarchicamente nazionali degli innumerevoli settori, più o meno sensibili, della nostra vita associata sono impensabili, a meno di non cercare improbabili forme di isolamento. La definitiva partita, anche in questo Parlamento, si giocherà nel rapporto tra i due principi costituzionali europei della tutela delle “identità nazionale” (art. 4, comma 2, TUE) e della valorizzazione delle “tradizioni costituzionali comuni” (art. 6, comma 3, TUE). Nessuno rinunzierà a individuare la propria identità nazionale e a usarla come uno scudo nei rapporti con gli altri Stati (ma, si spera, senza giungere a utilizzarla come una corazza e senza rotearla come una spada); ma nessuno in Europa può e potrà mai negare di avere tradizioni costituzionali comuni, non solo nell’area delle libertà, bensì anche nella struttura istituzionale, politica e sociale. Nel contesto europeo politica, cultura, istituzioni amministrative e giudiziarie sono chiamate, ognuna nel proprio ruolo, al difficile bilanciamento tra identità nazionale e tradizioni comuni: e questo compito spetta in primo luogo al Parlamento europeo
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Federalismi 2020, scientificità e attualità nel segno della continuità


Il 20 febbraio 2019 l’Anvur ha approvato il nuovo Regolamento per la classificazione delle riviste nelle aree non bibliometriche (Delibera del Consiglio Direttivo n. 42 del 20/02/2019) contenente i criteri di classificazione delle riviste ai fini della Abilitazione Scientifica Nazionale, sulla base del quale, dall’anno successivo a quello di approvazione, saranno soggette a valutazione da parte dell’Agenzia le riviste, cartacee o elettroniche, con finalità scientifiche dotate di codice ISSN. A partire da questo primo numero del 2020, dunque, federalismi.it offre ai proprio lettori ed alla comunità accademica di riferimento una nuova organizzazione, nel segno peraltro della continuità con quanto fatto in tutti gli anni di attività e di presenza nel dibattito scientifico... LEGGI TUTTO

giovedì 28 novembre 2019

Convegno. La violenza sulle donne e le sue radici nella quotidianità



La violenza sulle donne si manifesta in molti modi: umiliazione, negazione dell’autodeterminazione, impossibilità di indipendenza economica, sopraffazione fisica e psicologica, percosse fino ad arrivare al femminicidio. E ciò accade soprattutto all’interno dell’alveo familiare e amicale.
Le motivazioni sono molteplici, figlie di una cultura che costruisce e alimenta l'idea che una donna sia una cosa ("sei mia/sono sua") o una funzione ("la moglie/fidanzata/figlia/sorella/madre"), ma mai una persona dotata di autonomia.
Questa concezione distorta fatica a sradicarsi, anzi trova linfa negli stereotipi di genere che ancora improntano il vivere sociale, a partire dai modelli propagandati dalla pubblicità e da tanta parte dei media e ancora nella scuola e nel mondo del lavoro dove, nonostante norme e contratti garantiscano parità salariale a parità di mansione, gli spazi di discrezionalità mantengono un complessivo dislivello salariale tra il lavoro maschile e quello femminile.
Per questo è necessario andare a scavare là dove le radici della violenza alle donne allignano e dare strumenti innanzitutto per riconoscerle e riconoscere il problema.

giovedì 18 luglio 2019

SAN FELE:BREVE STORIA < Anno 969 d.C.- Anni 1886 e seguenti>



SAN FELE:BREVE STORIA < Anno 969 d.C.- Anni 1886 e seguenti>
Anno 969 d.C. Ottone I di Sassonia, dopo la vittoriosa battaglia di Bovino, fa costruire su una delle tre cime che sovrastano la Valle di Vitalba, e precisamente su quella centrale, che da allora si chiamerà Monte Castello, un fortilizio con funzione di avvistamento e difesa contro i Bizantini. E’ nata San Fele, ovvero il Castrum Sancti Felicis.
Che sia stato l’imperatore sassone a costruire la rocca, e non Federico II come vogliono altri, può essere confermato dal fatto che, in occasione della numerazione civica del 1908, venga assegnato, fra i luoghi da censire, la Rampa di Ottone I, corrispondente all’attuale via Francesco Stia.
Il none dato al Castrum, “San Felice”, spiegato con la probabilità che i costruttori fossero Venosini, devoti di quel santo vescovo africano di Tripoli martirizzato a Venosa sotto Diocleziano.
Preesistente alla Rocca era pure la Contea di Armatiedi o Armaterra, che si vantava di un castello, ora ridotto a pochi ruderi, perché distrutto nel 1431 dal conte di Sant’Angelo dei Lombardi, Giovanni Zurlo. In contrada Masone era già un castello ed un altro in contrada Valvano, appunto dei Conti Balban, che tanta parte avranno nella storia dell’Abbazia di Santa Maria di Pierno.
Anno 1020: Enrico II di Baviera, detto il Litigioso, essendosi opposto al nuovo imperatore Ottone II, vinto e relegato nel Castrum Sancti Felicis per breve tempo, liberato diverrà re di Germania, ma soprattutto egli è il padre dell’imperatore Enrico II ovvero S. Enrico.
Anno 1022: l’imperatore San Enrico visita il Castrum con il Patriarca di Aquilonia, l’arcivescovo di Colonia, l’arcivescovo di Milano, Eriberto di Intimiano, e numerosi Vescovi, Conti, Marchesi e Baroni.
Anno 1036: come conseguenza delle lotte tra l’arcivescovo di Milano e i Valvassoridi, alcuni milanesi sono confinati proprio a San Fele, liberati da Corrado II, essi restano a San Fele, a causa dell’epidemia che interessava Milano, imparentandosi con donne della vicina Vitalba, saranno queste le prime famiglie del paese: Faggella, Ruggiero, Tomasulo, Russino, Mazzia, Muccia.
Anno 1041: i Normanni si stanno affermando nell’Italia meridionale, è con loro il sanfelese Ardoino, uno dei milanesi non rientrati nella propria città, che in premio otterrà il titolo di Signore di San Fele. Nasce così la Baronia, i successori saranno Pietro, Giazzolino e Tancredi.
Annno 1090: la malaria, che miete vittime nella vallata sottostante, spinge gli abitanti di Vitalba a cercare rifugio nella vicina altura ed a popolare il borgo. Sorge la prima Chiesa, dedicata a San Nicola (oggi facciata del palazzo Frascella) e successivamente quelle di San Vito e Sant’Eustachio (scomparse) e quella dell’Addolorata.
Anno 1121: San Guglielmo da Vercelli fonda la Chiesa di Pierno.
Anno 1128: i Papi osteggiano i Normanni e lo scontro armato fra Ruggiero II e Onorio II si conclude con i primi accordi di pace stipulati ad Montem Sancti Felicis, cioè sulla Rocca.
Anno 1131: lotte fra Ruggiero II e i Principi normanni appoggiati dai Papi, nuovi flussi verso il Castello a causa delle devastazioni di Vitalba. Gilberto de Balban conquista la rocca; pace fra Ruggiero II e Papa Innocenzo II.
Anno 1189: Gilberto II de Balban, amplia la Chiesa di San Guglielmo, i lavori terminano nell’anno 1197.
Anno 1197: inizia la dominazione Sveva nel Meridione d’Italia
Anno 1224: nella neo fondata Università di Napoli vengono chiamati ad insegnare Giordano da San Fele ed il clericus Giovanni di Armaterra.
Anno 1240: il castello di San Fele dventa uno dei soli quattro Castelli Curiali di tutto il Meridione d’Italia.
Anno 1253: Enrico il minore, figlio di Federico II, è dal fratello Corrado, nuovo imperatore, mandato prigioniero nel Castello di San Fele e fatto uccidere per mano del Castellano Giovanni Moro.
Anno 1266: Carlo d’Angiò è il nuovo Re di Napoli, malumori per tassazioni e vessazioni, per cui diffuso banditismo e San Fele ridiventa Feudo affidato a Giovanni Gaulard, Drogone di Beaumont, Guglielmo di Melun, per ritornare poco dopo alla Regia Curia.
Anno 1270: il re Carlo d’Angiò fa provvedere ad ulteriori fortificazioni del Castello
Anno 1273: ribellione di Bartolomeo de Ruggiero contro la tassa maritale ed il tentativo di stupro della figlia. Uccisione di soldati francesi e fuga di tutti i cittadini nel Bosco di Santa Croce contro l’Editto di sterminio emanato da Carlo d’Angiò: è il così detto Vespro della Valle e il momento della Piccola Repubblica di Santa Croce.
Anno 1274: il 15 agosto i sanfelesi, perdonati, ottengono che la firma del provvedimento sia, dai messi del re Carlo, apposta in Pierno, ai piedi della Vergine, da ciò la solenne celebrazione dell’Assunta a Pierno il 15 di ogni agosto.
Anno 1284: San Fele, Armaterra e Vitalba diventano un sol Feudo.
Anno 1382: la regina di Napoli, Giovanna, e il marito Ottone di Brunswick sono prigionieri nella Rocca.
Anno 1416: Ser Gianni Caracciolo, Gran Siniscalco del Regno, e la sua famiglia governeranno San Fele fino all’anno 1487.
Anno 1438: la Valle è schierata Aragonesi; Antonio Caldora con gli, capitano di ventura al soldo di Renato d’Angiò, bombarda e distrugge il Castello, altrimenti imprendibile.
Anno 1456: un terribile terremoto distrugge la Chiesa di Pierno.
Anno 1487: San Fele torna alla Regia Curia, in occasione della seconda congiura dei Baroni contro gli Aragonesi.
Anno 1502: gli Spagnoli scendono alla conquista del Regno di Napoli; San Fele, con Ascoli, Atella e Labriola diventa Feudo del Vice re di Napoli, Guglielmo Cialone Principe d’Oranges, e poi per la fellonia di questi, nell’anno 1532, è data in feudo da Carlo V ad un suo generale, il Principe Antonio de Leyva. E’ questa famiglia a provvedere, nell’anno 1551, alla ricostruzione e all’ampliamento della Chiesa di Pierno, e nel frattempo, nel 1514, dichiarata Abbazia dal Papa Leone X.
Anno 1514: inizia la costruzione della Chiesa Matrice “Santa Maria della Quercia”, i lavori saranno ultimati nell’anno 1584.
Anno 1555: costruzione della Chiesa dell’Annunciata
Anno 1603: il feudo è dai Leyva venduto ai Grimaldi.
Anno 1613: i Doria acquistano il feudo e saranno Signori di San Fele fino al 1811.
Anno 1627: costruzione della Chiesa di Santa Lucia.
Anni 1502-1734: numerosi terremoti, frane, carestie e pestilenze nonché l’esosità della tassazione, comportano l’emigrazione all’interno del regno ed un diffuso fenomeno di banditismi; nel frattempo, sul finire del 1600, nasce l’Università, successivamente sarà il Comune, e con essa i Baroni e i Principi lasciano il posto alle nuove classi emergenti dei Civili, fra i sanfelesi più illustri del periodo: Padre M° Giovanni Battista Guglielmo Leone.
Anni 1735-1860: il Regno dell’Italia Meridionale passa ai Borboni; verso la metà del 1700 il numero degli abitanti cresce e con esso le attività, tra cui la lavorazione della lana grezza grazie alla costruzione di Valchiere.
Anno 1759: la Chiesa Matrice si amplia con l’aggiunta delle navate, delle cappelle laterali e della cupola di scuola vanvitelliana.
Anno 1799: l’Università di San Fele è fra le prime ad innalzare l’Albero della Libertà della rivoluzione napoletana.
Anno 1800: il 9 Ottobre nasce, da Giovanni Battista de Jacobis e Giuseppina Muccia, Giustino Sebastiano Pasquale, Missionario in Terra d’Africa, morto nella Valle di Alighediè il 31 luglio 1860 e proclamato Santo il 26 ottobre 1975.
Anni 1861-1863: all’Unità d’Italia segue il periodo del Brigantaggio, al quale San Fele partecipa con alcuni suoi capibanda.
Anni 1886 e seguenti: frutto macroscopico dell’Unità sarà il fenomeno preminente e devastante dell’emigrazione di massa causando un calo demografico del paese dai 12000 abitanti del secondo ‘800 ai 3000 attuali.

domenica 28 aprile 2019

SAN FELE (PROVINCIA DI POTENZA) RELAZIONE DI FINE MANDATO ANNI 2014 – 2018 (Art. 4, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149)

La presente relazione viene redatta da province e comuni ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, recante: "Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17, e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42" per descrivere le principali attività normative e amministrative svolte durante il mandato, con specifico riferimento a: a) sistema e esiti dei controlli interni; b) eventuali rilievi della Corte dei conti; c) azioni intraprese per il rispetto dei saldi di finanza pubblica programmati e stato del percorso di convergenza verso i fabbisogni standard; d) situazione finanziaria e patrimoniale, anche evidenziando le carenze riscontrate nella gestione degli enti controllati dal comune o dalla provincia ai sensi dei numeri 1 e 2 del comma primo dell’articolo 2359 del codice civile, e indicando azioni intraprese per porvi rimedio; e) azioni intraprese per contenere la spesa e stato del percorso di convergenza ai fabbisogni standard, affiancato da indicatori quantitativi e qualitativi relativi agli output dei servizi resi, anche utilizzando come parametro di riferimento realtà rappresentative dell’offerta di prestazioni con il miglior rapporto qualità-costi; f) quantificazione della misura dell’indebitamento provinciale o comunale. La relazione è sottoscritta dal sindaco non oltre il sessantesimo giorno antecedente la data di scadenza del mandato. Entro e non oltre quindici giorni dopo la sottoscrizione della relazione, essa deve risultare certificata dall'organo di revisione dell'ente locale e, nei tre giorni successivi la relazione e la certificazione devono essere trasmesse dal presidente della provincia o dal sindaco alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti. La relazione di fine mandato e la certificazione sono pubblicate sul sito istituzionale del comune da parte del sindaco entro i sette giorni successivi alla data di certificazione effettuata dall'organo di revisione dell'ente locale, con l'indicazione della data di trasmissione alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti. In caso di scioglimento anticipato del Consiglio comunale o provinciale, la sottoscrizione della relazione e la certificazione da parte degli organi di controllo interno avvengono entro venti giorni dal provvedimento di indizione delle elezioni e, nei tre giorni successivi la relazione e la certificazione sono trasmesse dal presidente della provincia o dal sindaco alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti. La relazione di fine mandato è pubblicata sul sito istituzionale della provincia o del comune entro e non oltre i sette giorni successivi alla data di certificazione effettuata dall'organo di revisione dell'ente 3 locale, con l'indicazione della data di trasmissione alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti. L’esposizione di molti dei dati viene riportata secondo uno schema già adottato per altri adempimenti di legge in materia per operare un raccordo tecnico e sistematico fra i vari dati e anche con la finalità di non aggravare il carico di adempimenti degli enti. La maggior parte delle tabelle, di seguito riportate, sono desunte dagli schemi dei certificati al bilancio ex art. 161 del Tuel e dai questionari inviati dall’organo di revisione economico finanziario alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, ai sensi dell’articolo 1, comma 166 e seguenti della legge n. 266/2005. Pertanto, i dati qui riportati trovano corrispondenza nei citati documenti, oltre che nella contabilità dell’ente. Si precisa che l’ultimo esercizio considerato ai fini della presente relazione è il 2018 In assenza dell’approvazione del rendiconto di gestione per l’esercizio 2018, i dati finanziari ad esso relativi sono desunti dal pre-consuntivo 2018, rilevati dopo l’approvazione del riaccertamento ordinario dei residui, avvenuto sulla base dei dati della chiusura contabile dell’esercizio 2018  

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mercoledì 21 marzo 2018

Regole e regolarità nell'elezione dei presidenti delle Camere e nella formazione dei gruppi

Le elezioni del 4 marzo 2018 hanno prodotto un esito che segna un profondo mutamento del quadro partitico italiano e una grande incertezza sugli esiti politici, in particolare riguardo all’individuazione di una maggioranza parlamentare in grado di esprimere la fiducia ad un nuovo Governo. Di fronte a questo sconvolgimento, la dinamica istituzionale può aiutare a ricostruire il filo e a dare qualche elemento di certezza, ancorché – come vedremo – parziale. La XVIII legislatura repubblicana, che avrà inizio il prossimo 23 marzo, si avvierà, come di consueto, con due momenti principali: l’elezione dei Presidenti di Senato e Camera e, subito dopo, la formazione dei gruppi parlamentari. Sulla base di questi due momenti si svolgeranno le tappe successive. Anche perché soggetti necessariamente consultati dal Presidente della Repubblica in vista della formazione del Governo sono, appunto e anzitutto, i (neo-eletti) Presidenti di Assemblea e i Presidenti dei (neo-costituiti) gruppi di Camera e Senato (spesso accompagnati dai leader dei relativi partiti). Le disposizioni sull’elezione dei Presidenti di Assemblea sono rimaste inalterate da quando furono introdotte dai nuovi regolamenti parlamentari del 1971: con quorum “a scalare”, sul modello di quel che stabilisce l’art. 83, terzo comma, Cost. per l’elezione del Presidente della Repubblica. Una disciplina, perciò, intesa a favorire la ricerca di un consenso il più ampio possibile per la loro elezione, senza però compromettere troppo a lungo la funzionalità dell’organo (visto che senza presidente pleno jure un organo collegiale non può, evidentemente, operare). Per l’elezione del Presidente è pertanto necessaria, nel primo scrutinio, alla Camera, una maggioranza pari a due terzi dei voti dei componenti; al Senato, nei primi due scrutini, basta invece la maggioranza assoluta dei componenti. Al secondo e al terzo scrutinio sono richiesti, alla Camera, due terzi dei voti dei presenti; mentre al Senato è sufficiente, al terzo scrutinio, da svolgersi il giorno successivo, la maggioranza assoluta dei presenti. Dopo il terzo scrutinio alla Camera occorre la maggioranza assoluta dei presenti e sotto tale soglia non si scende; al Senato, invece, il quarto scrutinio è necessariamente anche l’ultimo, visto che in esso si procede al ballottaggio tra i due candidati precedentemente più votati (senza perciò alcuna soglia minima), prevalendo, in caso di parità, il più anziano.Pur nell’invarianza della disciplina regolamentare, si sono succedute, da allora, diverse fasi. Tra il 1976 e il 1994 (seppure con una brevissima interruzione nel 1992) ha infatti operato quella che normalmente si qualifica come una convenzione costituzionale, in base alla quale, mentre la Presidenza del Senato è stata sempre attribuita ad un esponente della maggioranza di governo, alla Presidenza della Camera è stato eletto un deputato candidatosi nelle liste di quello che maggior partito di opposizione... (segue leggi tutto)